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Scuola a Roma 13 marzo 2021 Manifesto anti Dad Un giorno, a scuola. Terza ora. Di un venerdì
che apre le porte al fine settimana, sereno e vivace allo stesso tempo, come
solo gli adolescenti sanno essere. Dove? In un istituto scolastico di Roma, terzo
anno di scuola secondaria di secondo grado. Oggi, lo sanno, gli tocca letteratura italiana. Petrarca, l’amata Laura e il Canzoniere. Che palle. Dai, alcuni lo avranno pensato, inutile negarlo. Anche quello che, però,
accadrà di lì a poco, non lo dimenticheranno. E io con loro. Chissà per quanti
anni. Parto con la vita
dell’immenso poeta del Trecento, poi arrivo lì. Al punto di non ritorno. Oppure
se vogliamo, al punto dove sempre tutto torna. L’amore. Il racconto del
sentimento angelico e malinconico del Petrarca verso la sua Laura inizia a
raccogliere più attenzione di quello che mi aspettassi. Ora sì, seguono davvero
tutti. Anche agli ultimi banchi il brusio si fa silenzio partecipe, appunti
continui, sguardi interessati. Anche quelli di un “bulletto” moderno,
tecnologicamente avanzato e spesso corazzato di rabbia e boria, che celano ai
più una profonda, sincera, sensibilità. Arriviamo al Canzoniere, l’opera più importante e ampia, con i suoi 366 componimenti in “volgare” italiano, molti dei quali dedicati all’amore in tutte le sue forme, anche quelle più devastanti, vero com’è che il Petrarca cerca spesso conforto alle pene d’amore nella religione. Ma non lo trova mai. Perché è terribilmente avvolgente il pensiero di lei. Un amore eterno, che non lo abbandona mai, ovunque vada. C’è chi, semplificando troppo, ha detto che Laura è stata tutta la sua vita letteraria. Forse è così. Entriamo in alcune di queste
poesie. Faccio leggere un paio di studenti. Poi, scelgo lui, il ragazzo di cui
sopra che per riservatezza chiamerò Francesco. Sì, come il Petrarca. Parte spavaldo: «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi che ‘n
mille dolci nodi gli avolgea...». Poi, la voce trema un po’: «non era l’andar suo cosa mortale ma d’angelica
forma, e le parole sonavan altro che pur voce umana». Emozionato, fino alla
fine: «uno spirito celeste, un vivo sole
fu quel chi’i’ vidi, e se non fosse or tale, piaga per allentar d’arco non sana». Lacrime a riempirgli gli
occhi. I compagni basiti. Io anche. Mi avvicino a Francesco, nel silenzio
assordante dell’aula. Chiedo il perché di questa emozione. La risposta è
lacerante: «due anni fa è morta la mia ragazza in un incidente stradale; leggendo,
pensavo a lei». Decido allora di leggerla
ancora una volta. Stavolta però, tutti insieme, con Francesco. Una magia indescrivibile.
Attimi di emozione condivisa e partecipata che non dimenticherò mai. Petrarca,
giovane del Trecento e giovane ancora una volta lì, in mezzo a loro. Questa è vita per gli studenti: libri in mano, insieme, dal vivo, vicini. La loro risposta ai moderni sciamani dell’oscurità, che li vorrebbero divisi e lontani. Che annunziano urbi et orbi la Dad (didattica a distanza) come «patrimonio per il futuro». Dimenticando che il futuro è negli occhi dei ragazzi. Ecco perché sarò sempre, nonostante tutto, dalla loro parte.
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