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Sport a Roma 11 dicembre 2020 Sotto cieli stellati Addio a Paolo Rossi, bomber felicità del Mundial ‘82 Scatta in piedi. Intorno
a lui re Juan Carlos di Spagna e Schmidt, cancelliere tedesco. È il minuto
ottantuno di una notte piena zeppa di stelle. Undici luglio 1982. Madrid, finalissima tra Italia e Germania.
Segna Altobelli. Tre a zero. La felicità è lì, a portata di mano, prendila e
non lasciarla più. Non resiste Sandro
Pertini, poco incline al cliché di corte. Si alza tra le anime ingessate dei
vicini: braccia al cielo in segno di giubilo, si gira, cerca sguardi complici,
ebbri di gioia come lui, muove il dito e urla estatico: «non ci prendono più,
non ci prendono più!». Non ci presero più. A
nulla servì il consolatorio gol di Breitner al minuto ottantatré. Nando
Martellini, epica voce Rai di quella narrazione del cuore, ce lo annunciò urbi et orbi per ben tre volte. Eravamo
campioni del mondo. Già, Pertini. Presidente rispettato
e condiviso da un Paese che trova sempre il modo per dividersi. Lui, ex partigiano
combattente in gioventù e quindi amato e odiato a seconda delle appartenenze,
in quella indimenticabile avventura sportiva e sociale riuscì a rappresentare
la gioia di tutti, senza distinzioni e le laceranti divisioni civili e
politiche di quegli anni, eredità di un otto settembre ‘43 che in Italia è
comportamento quotidiano. C’era anche la politica
pensate, che aveva certamente preso una piega orrenda negli estremismi
criminali, ma che almeno era viva, dibattuta, abbracciata e contestata nelle piazze.
C’era anche la repressione di Stato, quella reale che toccavi con mano, che
spesso picchiava duro. Che tempi. Pensate che non erano vietati né gli abbracci
né le manifestazioni, il “distanziamento umano” era un film dell’orrore e le festività
erano aggreganti. Poi, addirittura, i bambini giocavano insieme e i giovani
giravano in “comitiva”, uno accanto all’altro. Una vita fa. C’era ancora il calcio
come fenomeno sociale, prima di essere annientato dal business moderno, quello
tecnologico degli ultimi dieci anni. La voce di Martellini “rimbalzava” tra i
balconi, i giardini e le case di tutti gli italiani, riuniti e uniti in
un’atmosfera indescrivibile. L’Italia di Bearzot, che
aveva in “Pablito” Rossi il suo centravanti iper discusso, partì per la Spagna
in un clima di scetticismo, per usare un eufemismo. Stampa e opinione pubblica
non avrebbero mai scommesso una lira su quella squadra. Che, dopo un inizio
deludente e una vera e propria guerra con i giornalisti al seguito (Mario
Sconcerti, all’epoca inviato di Repubblica,
per poco non venne alle mani con Tardelli), sbocciò. Come Rossi, bomber
felicità che iniziò a segnare senza fermarsi più: fuori l’Argentina di
Maradona, tripletta al Brasile di Zico, Falcao e Socrates, due gol alla Polonia
di Boniek in semifinale. Infine, il primo dei tre gol alla Germania Ovest di
Rummenigge. Da non credere. Come la triste notizia.
Paolo Rossi è morto. E, per noi, riposa sotto cieli stellati.
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