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Sociale a Roma 24 giugno 2021 I fili che non vedi Critica della società moderna Guardati intorno. Provaci
uomo moderno, sintesi ideale di oscuri percorsi. Affrancati per un attimo, se
riesci, da “Madre Paura” e poi li vedrai bene, chiarissimi sopra e intorno a
te. Cosa? I fili. Quelli che fai finta di non vedere. Quelli che regolano,
dirigono e deviano la tua vita. Marionette
in libertà, per dirla con un’opera letteraria di Gianni Rodari del 1974,
tra gli scrittori e pedagogisti inarrivabili della storia italiana. Quei fili che esistono da
quando il mondo cambiò definitivamente, secoli fa, per avviare quella società
che oggi i ragazzi studiano a scuola come “Storia Moderna”. Qualche indizio? La
rivoluzione scientifica e le due industriali, intervallate dall’illuminismo, segnarono
un vero e proprio spartiacque tra due modi opposti di intendere l’essere umano.
Per poi avanzare a mille all’ora su una via ben tracciata. Come un lampo, fino
alla folle accelerazione degli ultimi quindici anni: la rivoluzione digitale e
virtuale, nella quale siamo immersi fino ai capelli e che andrà sempre più
rapida nella direzione che vorrà e che già, purtroppo, intravediamo. La storia è piena zeppa di
piccoli e grandi burattinai. Nel 1884 la rivista satirica britannica Punch pubblicò una vignetta raffigurante
Bismarck, cancelliere del Secondo Reich, nei panni di un burattinaio che
muoveva dall’alto i fili ai quali erano legati tre imperatori: Guglielmo I di
Germania, Francesco Giuseppe d’Austria e Alessandro II di Russia, legati tra
loro da quel “patto dei tre imperatori” del 1873 di cui Bismarck fu assoluto
artefice. I fili della società di
oggi, se vuoi, puoi vederli. Perché non c’è più bisogno di nasconderli. Te li
mostrano pure, ma tu, ancora, non li vedi. Perché non vuoi, perfetto involucro
svuotato da ogni forma di spiritualità umana, che non è religione ma solo
quello che realmente sei, o eri: il tutto. Sì, tu eri tutto, di nulla avevi
bisogno se non di quello che già avevi dentro: le tue passioni, idee e
sentimenti. Il vero progresso era solo dentro di te. Invece, mano a mano, ti
sei lasciato convincere che la bellezza fosse fuori, attratto dalla “religione
della ragione” e da quell’immobile forma disumana d’ipocrisia settecentesca
chiamata “felicità pubblica”. Hai così rinnegato i veri insegnamenti umani delle
civiltà più antiche, greci e romani ma non solo. È vero, qualcuno ci ha
provato, in questi secoli, a rompere quei fili. Si è ribellato. È morto, spesso
giovane, in nome di un’idea, perché dentro la sentiva come un fuoco, perché a
nessuno ha dato il potere di comandare sul suo “io” più intimo e prezioso. A
differenza tua, che quell’idea l’hai svenduta per una manciata di signorsì in
cambio di una vita “sicura”, senza rischi e quindi piatta, vuota, futile. Che
vita non è. Quella in cui annuisci se devi, piangi a gettone e applaudi festoso
la stessa ripetitiva rappresentazione, insieme a migliaia come te. Esuli da voi
stessi, ignari del vero significato di “partecipazione”, urlate sguaiati ai
servigi del padrone, in fila, uno dietro l’altro, in battaglie pseudo
egualitarie piovute dall’alto, da chi muove i vostri fili. Non sei ombra di te
stesso, quello no, perché vorrebbe dire che un riflesso ancora c’è.
Semplicemente, sei morto credendoti vivo. E muori continuamente,
ogni giorno, puntando il dito a comando contro chi ha ancora qualcosa di
diverso da dire, un’idea in cui credere, un modo di essere da salvare dalla
caccia alle streghe contemporanea. C’è chi non vuole finire
come te. Sono pochi, certo. Eredi di quelli che in ogni epoca storica sono
stati additati a ribelli, pazzi, eretici e via etichettando. Quelli cercati
casa per casa, perseguitati, costretti all’esilio e alla segretezza. Che
rigettano ogni giorno le sfarzose offerte per vendere l’anima al diavolo. Quelli che ancora sanno riconoscere la paura, quella vera e provano ad affrontarla, pronti a sacrificare tutto per non tradire se stessi. Quelli che disprezzi e giudichi perché non allineati al tuo pensiero. Che sorridono davvero.
Perché in fondo, non li avrete mai.
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