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Sport a Roma 27 febbraio 2021 Sei Nazioni 2021: Italia, un massacro Terza giornata del torneo da dimenticare per gli azzurri Un massacro. Non ci viene
altro in mente al momento per descrivere la terza sconfitta azzurra in tre gare
del Sei Nazioni. Letteralmente dominati a
Roma dall’Irlanda, usciamo con le ossa rotte da una partita gestita
dall’esperienza e dal grande talento degli avversari che, dall’inizio alla fine
del match, hanno imposto sia il loro strapotere fisico sia una strategia di
gioco dispiegata a memoria sul terreno verde di un Olimpico come al solito
deserto per via delle misure emergenziali. Finisce dieci a
quarantotto. Tra mete, calci e chi più ne ha più ne metta. I primi quaranta minuti
terminano sul dieci a ventisette. Una meta nel finale di tempo ci rende la
pillola irlandese un pizzico meno amara. Ma i cui effetti, nella seconda
frazione di gioco, sono ancora più pesanti. Come macigni. Praticamente non
riusciamo mai a reagire. Soprattutto: noi diamo tutto, loro no. E questa, per
qualsiasi sportivo, è l’umiliazione più grande. Chiariamo: gli irlandesi
giocano in modo leale, andando a meta tante volte senza tirarsi mai indietro.
Ma sembrano, nella seconda parte del secondo tempo, tirare un po’ i remi in
barca, non voler infierire inconsciamente dinanzi ad una squadra senza uno
straccio di gioco, senza un punto di forza, neanche uno, sul quale costruire
una struttura tattica complessiva tale da impensierire gli ospiti in verde. Peraltro, c’è da
aggiungere un elemento non da poco: non è più ormai da diversi anni l’Irlanda
dei fuoriclasse, quella capeggiata dal leggendario O’Driscoll, giocatore
entrato di diritto nell’olimpo degli dèi del rugby. Certamente è una squadra di
indubbio talento ed esperienza in alcuni elementi fondamentali. Ma non è assolutamente
un ostacolo insormontabile. O almeno, non lo sarebbe
per tante squadre con un’organizzazione ben delineata. La nuova Italia dei
giovani certamente non lo è e forse non può esserlo. La responsabilità, ci
teniamo a sottolinearlo anche dopo questa dèbacle, non è dei ragazzi scesi in
campo, che davvero giocano per quello che possono, piuttosto di un sistema
rugby nazionale che da alcuni anni ha deciso di investire pochissimo nella
crescita di uno sport che ci sta esponendo a figure imbarazzanti in campo
europeo. Negli altri sport,
raramente è accaduto che una nazionale italiana sia stata addirittura sei anni
senza vincere una gara del torneo più importante nel quale annualmente gioca. Questo occorre
sottolinearlo ancora una volta, non per volontà di cercare responsabili ad ogni
costo, ma per dignità sportiva. Perché ormai, un po’
tutti gli italiani amanti del rugby si stanno stancando di ascoltare sempre il
solito ritornello: “l’importante è partecipare, senza recriminare, perché siamo
rugbisti e accettiamo con sportività qualsiasi risultato”. Perché così non è. O
almeno, lo è in parte. Accettiamo risultati negativi entro un limite che si
chiama appunto dignità. E che non si tutela soltanto facendo scendere in campo
ragazzi volenterosi, ma gettando una volta per tutte basi solide. Perché uno sport in cui
si esce umiliati due volte su tre travalica i limiti dello sport stesso, che è
sì partecipazione e rispetto ma che prevede anche, permetteteci, una vittoria
ogni sei anni.
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