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Arte&Editoria a Palombara Sabina 07 agosto 2020 Martina Angelini: «Scrivo da quando sono bambina, il mio libro è nato da un foglio bianco che non vedo l’ora che si riempia» La giovane scrittrice, al suo romanzo d’esordio: Black Jack - L’Aquila e il Serpente Si tratta di
un libro ben scritto che narra le avventure di Jack che si svolgono tra il
passato, il presente e il “Nulla”; un mondo parallelo dove non esiste il tempo
o quantomeno assume un’importanza completamente diversa da quella che siamo
soliti attribuirgli. Inoltre, Martina
ci ha “ingolositi” annunciandoci che questo è solo il primo libro di una serie
che presto dovrebbe vedere la luce e dovrebbe prevedere almeno altri due sequel
e il primo è già pronto. Quindi
mettiamoci comodi e attendiamo il resto del “viaggio” che Martina ci offrirà. Come è
nata la passione per la scrittura? «Scrivo da
quando ero piccola: mi ricordo che da bambina, quando tornavo da scuola con
l’autobus, per abbreviare l’attesa scrivevo canzoncine. Qualche anno dopo ho
iniziato a scrivere fun-fiction di videogame o film i quali avevano un finale
che non mi piaceva, oppure per rendere giustizia a un personaggio che non era
stato fortunato o magari per analizzarlo da una prospettiva differente». Praticamente
riscrivevi le storie, per come avresti voluto vederle? «Più che
riscrivere le storie di punto in bianco si trattava di sequel, con alcune
modifiche. Anche adesso lo faccio ma solo come esercizio, anche per non far
perdere al mio personaggio la sua personalità». Cosa ti
piace in particolare della scrittura? «Mi piace
molto scrivere a mano i miei libri, mi sembra di far prima a raccogliere le
idee e poi mi piace moltissimo scrivere sui quaderni, sentire il profumo
dell’inchiostro e il rumore delle pagine che si riempiono». Hai
frequentato la “Scuola Internazionale Comics”: come giudichi questa esperienza? «Mi ha
aperto un mondo! È stata la miglior esperienza a livello scolastico. Prima di
quest’esperienza avevo provato a scrivere due libri ma mi perdevo e inoltre, in
alcuni casi, risultavano delle scopiazzature di altri romanzi. Dopo aver
frequentato questa scuola ho capito i passi giusti per creare una buona trama,
nella quale non bisogna per forza immedesimarsi ma trovare un amico, un
confidente con cui parlare o vivere un’avventura». Ok il non
immedesimarsi ma suppongo che ci sia qualcosa di te nei vari personaggi… «Penso
proprio di sì!». (ride) Ad
esempio, quanto c’è di te in Lily? «No, in lei non c’è molto. Quel personaggio è
stato ideato da una mia amica che ha quel tipo di carattere, quel tipo di
risposte atte a non voler mai darti una soddisfazione». Come è
nato questo libro? «È nato dal
foglio bianco! Il foglio bianco è il “Nulla” che troviamo nel romanzo e che
ogni artista possiede. Guardavo il foglio bianco e volevo scrivere qualcosa e ho
iniziato a scrivere di questi bambini che si trovavano a Londra e volevano
uscire dalla realtà. Poi sono arrivati gli altri personaggi». Quindi
non hai la fobia del “foglio bianco” come molti autori, per te rappresenta un
inizio? «Sì, anche
se poi, in fin dei conti non vedo l’ora che si riempia! Però non ho la
pressione di doverlo fare a tutti i costi». Nel tuo
romanzo assume una grande importanza la carta del “Fante Nero”. I tarocchi ti
affascinano in modo particolare a livello artistico oppure, magari in parte, ci
credi? «Crederci
non lo so, ma grazie al mio professore (Massimiliano Filadoro) ho scoperto che
raccontano storie e l’ho trovato molto interessante». Il
protagonista, quando si trova nel passato, s’integra perfettamente nel posto in
cui viene catapultato. Facendo un salto temporale ai giorni nostri, tu, credi
nell’integrazione? «Assolutamente!
Io non credo che esista una sola nazione, sono stereotipi creati dagli uomini.
Credo che discendiamo tutti dalla stessa razza e che sia illogico dividere gli
uomini perché sono cinesi, neri o cose simili. Ci sono delle culture
meravigliose e credo che sia ingiusto separare». La figura
di “Dis Pater” non è un po’ confusa? L’hai fatto apparire come un fabbro;
eppure, ha i compiti di Plutone (o Ade), non credi che si possa confondere con
la figura di Efesto? «Non mi sono
posta il problema. Vedo Ade come un fabbro che forgia la vita e la morte, non
come un fabbro che forgia armi e metalli». Tu hai
attinto a piene mani dalla mitologia celtica e romana, ma per la figura di
“Gemma” hai ripreso qualcosa da Mehem, che per gli antichi egizi era un
serpente che fungeva da guardiano dell’aldilà? «Sì e no:
nel mio mondo i serpenti hanno un ruolo, fungono più da guardiani dei vivi che dell’aldilà». In due
occasioni ho trovato delle analogie con Il Gladiatore, sono omaggi
voluti? «No, può
darsi che inconsciamente sia accaduto, ma non era una cosa voluta. Anzi,
l’unico riferimento voluto era immaginare Ade come Russell Crowe!». Se tu
avessi a disposizione una delle sigarette di Jack, quale sapore sentiresti? «Non lo so, non
ci ho mai pensato. Forse di lavanda, o magari d’inchiostro!». Quando
uscirà il prossimo capitolo? «Non lo so,
ho finito di scriverlo a mano ora devo ripassarlo al PC».
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