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Sport a Roma 18 gennaio 2020 Ago, uno sparo lungo una vita Nel ricordo di un campione d’umanità Un colpo dritto al cuore.
Bastò quello ad Agostino Di Bartolomei per dire stop, mi fermo qui. In una casa
nel profondo Sud, a un passo dal mare e tra gli affetti più cari. Mi sono sempre parse poco
rispettose le continue domande sul perché Agostino abbia deciso di premere quel
grilletto, su cosa gli sia passato per la testa in quella calda giornata di
fine primavera. Domande che ci hanno accompagnato lungo gli ultimi vent’anni.
Triste curiosità, ricerca del becero pettegolezzo, chiamatela come volete.
Personalmente non mi interessa domandarmi il perché di quel gesto, mi
interessano gli effetti, quello che ha provocato, forse “creato”. Proviamo a spingerci nel
paradosso, diamo un significato opposto a quel grilletto premuto da Ago. Quello sparo è riuscito ad
innalzare a simbolo eterno la figura di un ragazzo serio e leale, di uno
sportivo corretto. Valori che, se ci pensate un attimo, è tremendamente
difficile trovare oggigiorno nel mondo dello sport, anzi nel mondo e basta.
Lascia sgomenti che solo dopo un gesto del genere si sia creata questa
condivisione dei valori che Di Bartolomei ha rappresentato con le sue gesta
sportive ed umane. Come se in vita tutto questo fosse passato inosservato,
nascosto sotto la polvere di una notorietà conclusa, come un sipario che cala
quando il pubblico sta ancora finendo di applaudire. Bello spettacolo, certo.
Ora però è finito, tutti a casa. È il sipario che ha celato
per anni le gesta di uno sportivo di alto livello, escluso dal calcio che fino
a poco tempo prima lo aveva osannato e poi riposto nel dimenticatoio. Con
quello sparo Agostino si riappropria del suo essere sportivo, dei suoi valori
morali ed etici, d’insegnamento per i giovani d’oggi. Difficile da spiegare, me
ne rendo conto. Tuttavia provate a pensare per un attimo al contrario, a quello
che sarebbe successo se Agostino in quella terribile giornata non avesse fatto
fuoco. Per vent’anni quello che l’ex capitano ha rappresentato come sportivo,
probabilmente non sarebbe venuto fuori, almeno non nel modo “fragoroso” in cui
è stato raccontato in questi lunghi anni. Ci passa per la mente una
domanda: perché serve un evento così drammatico per avere dei punti di
riferimento etici, morali, sportivi? Forse la risposta non c’è. Forse è l’uomo
stesso che ha bisogno di tragedie per ricavarne qualcosa di buono. Impossibile
comprendere. Quel che resta a distanza
di più di vent’anni è un’infinita amarezza e malinconia nel ricordo del
campione. Il dolore lo lasciamo al cuore dei familiari. Il silenzio a
quel gesto tremendo.
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