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Sociale a Roma 26 giugno 2020 L’università del Covid Esami virtuali, l’antitesi meritocratica Aule d’esame online. Virtuali.
Sì, anche questo è la “società del Covid”. Una tecnocrazia
coercitiva, alienante e disumana. Disaggregata e disaggregante. Certamente antimeritocratica,
repressiva, un elenco diabolico e prolisso di divieti e obblighi, di libertà
costituzionali stracciate. Lavoratori straziati, anziani terrorizzati e anche, purtroppo,
uccisi. I giovani poi, già. I
“nativi digitali” degli ultimi vent’anni di corsa sfrenata all’oro tecnologico,
all’universo sbarrato dei social, dove d’infinito c’è solo l’estrema solitudine
della società moderna, preparata a puntino per questi mesi drammatici, dove “la
parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti”:
distanziamento. Chi non lo rispetta è un
reietto, un kamikaze pronto a far esplodere il virus letale tra donne, uomini,
bambini e qualsiasi altro essere animato. O anche inanimato chissà, può essere
tutto ormai. Tanto ci crediamo. Ai ragazzi lo hanno fatto
capire con toni pacati: «Il virus tornerà in autunno e sarà tutta colpa dei
giovani.» Bene. Il loro crimine? Non rispettare al millimetro il diktat della
distanza umana. A dirlo è sempre lui, il medico Walter Ricciardi, scugnizzo
tirabaci dei film anni ’80. La responsabilità atroce,
paventata e scaraventata con violenza sulle spalle dei ragazzi, è terribile e
ingiusta. Ma il regime capitalistico, finanziario-farmaceutico del Covid non
guarda in faccia nessuno. Tantomeno la gioventù. L’unica che, in altre
epoche, avrebbe già deposto nelle piazze i nuovi tiranni dell’infelicità.
Quelli che, travestiti da pastori di anime vaccinate, dispensano ordini e
bugie, provocano suicidi e depressioni, fallimenti e paure. Gli stessi giovani
universitari, alle prese con la nuova modalità di esami virtuali. Distanti,
meccanici. Chiariamo: gli esami online non nascono oggi, in minima parte già
sono stati sperimentati in questi anni. Ora trovano però la loro massima e
completa diffusione. Ora è l’unico modo per dimostrare le tue conoscenze, i
tuoi studi. Tramite webcam e aule
virtuali, dove i veri protagonisti del millenario rapporto umano
docente-studente sono microfoni e wifi. Vince chi ha la connessione migliore. I parametri attraverso il
quale il docente, spesso vittima anche lui, è costretto ad esaminare, sono
meccanici. Il filtro tecnico determina tutto. Un esame non è una ripetizione
automatizzata di testi studiati, è soprattutto contatto umano, partecipazione
viva. Sentire la vera voce del professore all’appello, alzarti quando è il tuo turno
ed essere dentro l’esame con tutto te stesso, compresso tra ansie e paure,
certezze e speranze. Poi, ti esprimi, per quello che sai, per quello che sei.
Dal vivo. Uno sguardo duro o rassicurante, una modalità espressiva e umana solo
tua, in quanto unica per definizione; poi ancora il modo di gesticolare, il
tono della voce. È il rapporto docente-studente reale, non filtrato e quindi umano. Può andar bene o male un esame,
puoi sentirti ripagato o frustrato, ringraziare o recriminare. Ma lo fai di
persona, faccia a faccia con chi deve giudicare il tuo merito o meno. Anche online è il
professore, distante chilometri, che decide un voto o la bocciatura. Ma
entrambi sapete che così non è. Lo studente risponde al suono metallico delle domande,
il professore ascolta e giudica qualcuno che non ha mai visto negli occhi. E
tutto è una grande bolla virtuale, nella quale chi è più tecnologico e bravo ad
apparire trova la finta gloria. Decide un computer. Ciak, si gira, “L’ università
del Covid”, scena ennesima di una grande farsa. Mettetevi comodi. E non
spegnete i cellulari.
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